27 aprile 2009

Guerra psicologica e web: i nuovi confini dei conflitti (parte 1)

Trasmissioni radiofoniche, altoparlanti e volantini. Dopo radio Londra, dopo l’avvento della comunicazione di massa, e infine con l’arrivo di internet, la guerra psicologica si diffonde attraverso il nuovo medium a ritmi inarrestabili.

Nei conflitti contemporanei è sempre più importante lo sviluppo di un piano di comunicazione articolato su vari livelli, studiato per essere più penetrante rispetto alle elementari notizie messe in circolazione dai telegiornali o dalla stampa.

Dai primi esempi in Kosovo all’ultima operazione israeliana sulla Striscia di Gaza la comunicazione e lo scambio di informazioni sul web è diventato un elemento sempre più fondamentale nel combattimento delle guerre psicologiche, diventando una matrice su cui costruire la propria base di consenso.

Israele e Libano

Lo scontro tra Israele e il Libano del 2006, il cui obiettivo era l’annientamento del partito di Dio Hezbollah, riportava le caratteristiche di una guerra nuova, combattuta sia piano psicologico, sia quello fisico.

Israele, infatti, conscio del potere della comunicazione, ricorreva a tutte le tecnologie più moderne per supportare il proprio sforzo bellico in Libano.

Lo Stato ebraico conduceva, oltre a operazioni militari tradizionali, anche operazioni psicologiche classiche (trasmissioni radiofoniche, annunci locali mirati diffusi attraverso altoparlanti e lanci di volantini). Tuttavia l’elemento più innovativo era costituito dalla comunicazione su internet.

Le autorità militari israeliane avevano creato, per esempio, un apposito sito internet che invitava i cittadini libanesi a collaborare per le forze armate israeliane e a fornire informazioni di cui veniva garantita la forma anonima della fonte.

Nel sito web rivolto ai libanesi, e leggibile in arabo, inglese e francese, venivano inseriti messaggi che invitavano alla collaborazione per sconfiggere i terroristi (“that could help Israel in the fight against Hezbollah”, “Ciò potrebbe aiutare Israele nella lotta contro Hezbollah”) e ridare indipendenza, libertà e prosperità al Libano.

Particolarmente esplicito fu il contenuto delle ultime parole: “For your own safety, please contact us from places where no one knows you”, “Per la tua stessa sicurezza, per favore contattaci da luoghi dove nessuno ti conosce”.

Non mancavano i messaggi registrati, diffusi sui telefonini portatili o via sms.

Secondo al-Arabiya, la stazione televisiva che trasmetteva da Dubai, nei messaggi che venivano inviati al telefonino si leggeva che il governo israeliano considerava il governo libanese responsabile della cattura di due soldati

La rete era già diventata un campo di battaglia come gli altri. Un luogo in cui anche gruppi più piccoli, come Hebollah, potevano vantare un degna conoscenza della materia, impiegando a propria volta il mondo del web per indottrinare i propri sostenitori, reclutare nuovi combattenti e rispondere alla guerra psicologica.

"L'informazione italiana fa schifo", parola di Wolfgang Achtner

http://www.mariorossi.net/user/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=6149

"L'informazione italiana fa schifo". Parola di Wolfgang Achtner, reporter televisivo americano ed ex inviato in Italia della più prestigiosa emittente all-news al mondo, la CNN. Parole forti e lucide considerazioni di un professionista sulla pessima qualità del giornalismo televisivo italiano, che solo la rete ci permette di scovare. La televisione è la maggiore (e a volte l'unica) fonte di informazione degli italiani. Ma che succede se i nostri telegiornali non hanno il benchè minimo rispetto dei principi etici del giornalismo ed anzi sono indissolubilmente legati al potere politico e economico?

Laura Viviani

16 aprile 2009

La gaffe di Berlusconi censurata in Italia

C’è una frase di Berlusconi che è rimbalzata da una homepage all’altra di tutti i maggiori siti web di informazione stranieri. Dal "Times" alla "CNN", da “Le Figaro” e a “El Mundo”.

La polemica nasce dall’intervista che Berlusconi ha rilasciato l’8 aprile scorso alla televisione tedesca RTL in cui esponendo la situazione delle vittime del terremoto, ha affermato che questo periodo di stazionamento temporaneo nelle tendopoli deve essere vissuto come “un camping da fine settimana”.

In Italia la notizia è passata poco più che inosservata in quanto, come spiega nel video il giornalista Udo Gumpel, le due maggiori tv nazionali non hanno voluto l’intervista. Neanche i principali quotidiani on line (www.republicca.it e www.corriere.it) hanno riportato la vicenda. Solo “IlSole24Ore” dedica un articolo all’ampia eco che la dichiarazione ha avuto all’estero, e “Il Manifesto” gli dedica una breve.

Di tutt’altra reazione è stata invece la stampa straniera, che ha subito attaccato più o meno duramente le parole del premier, giudicandole fuori luogo e irrispettose nei confronti degli sfollati. Tra i più critici, il quotidiano tedesco “Bild” ha titolato: "Berlusconi deride le vittime del terremoto”; tv pubblica Zdf aveva scritto sul suo sito: “Berlusconi schernisce le vittime del terremoto”.

The Times” ha dato ampio rilievo alla notizia, pubblicando un editoriale in cui parla della “grossolanità” di Berlusconi, e di come “la sua carriera politica è una cronistoria di commenti insensibili. […] Definire insensibile il suo consiglio rischia di accordargli lo status di verità. Invece è un esempio della buffoneria ricorrente”. Commenti del genere – continua - non solo “avviliscono metà della popolazione, ma imbarazzano i compatrioti di Berlusconi e rimpiccioliscono la sua carica”.

Sempre il “Times” sottolinea come la notizia non sia stata ripresa dai media italiani, neanche da un giornale di sinistra come “L’Unità” che ha solo riportato la notizia nella sezione esteri. Il quotidiano italiano ha poi aggiunto che Palazzo Chigi ha fatto uscire una nota in cui “redarguiva The Times per non aver detto che le parole di Berlusconi agli sfollati sono state accolte con “applausi e gratitudine”.

Non pochi siti hanno poi colto l’occasione di riproporre la carrellata di gaffes più note del premier. Tra queste, le ultime figuracce fatte al G20, che gli hanno valso il soprannome di “the joker in the pack” (il giullare di gruppo) da parte dei giornali inglesi.

Laura Viviani

8 aprile 2009

Turchia: Dopo Youtube è Facebook a finire nel mirino della magistratura turca.

Dopo l'oscuramento che aveva interessato più di 853 siti Internet, tra cui i noti YouTube e dailymotion.com, la magistratura turca punta il dito verso Facebook. A far scattare l'allarme è stata la segnalazione di alcuni studenti che, durante una vacanza a Bodrum, avrebbero rilevato, sul noto social network, la presenza di un gruppo che inneggia al partito dei lavoratori curdo (PKK), e che offenderebbe la figura del padre della patria, Mustafa Kemal Ataturk (un reato perseguibile dal codice penale turco). La messa al bando di siti Internet da parte dell’autorità giudiziaria turca è un fatto sempre più frequente in quanto sono ben otto le violazioni all’articolo 5651 del codice penale che comportano il blocco immediato dei siti. Tali violazioni comprendono la pedopornografia, gli insulti all’immagine di Ataturk, l’incoraggiamento al suicidio ed il gioco d’azzardo. Il gruppo presente sul social network più famoso al mondo conterebbe la bellezza di 600 iscritti e avrebbe base in Italia, dove la comunità curda è molto attiva sul web. Le proteste avanzate da Facebook non hanno impedito alla magistratura di appellarsi all’articolo 301 del codice di procedura penale (di cui era stata chiesta la cancellazione in ambito europeo), che ha portato alla momentanea modificazione e alla censura di alcune pagine. Il ritorno al passato La mano pesante della magistratura turca nei confronti del mondo virtuale è una questione risaputa. Nel Maggio scorso era stato operato un blocco dei collegamenti a YouTube.com, reo di ospitare videoclip offensivi verso l’immagine di Ataturk. Il blocco in questione era il terzo, in ordine di tempo, e aveva portato alle proteste dei blogger di tutta l'Anatolia. Il primo ad utilizzare l’autocensura come forma di protesta fu il blogger Firat Yildiz, che mise in rete il messaggio “L’accesso a questo sito è proibito per espressa volontà del suo proprietario”, un commento che prendeva in giro la dicitura imposta dal censore, che recita “L’accesso a questo sito è proibito per ordine del tribunale”. In tantissimi seguirono l’esempio di Yildiz e, nel giro di pochi giorni, furono circa 441 i siti web e i blog chiusi al pubblico. In quel caso fu proprio grazie alla campagna di protesta che uno dei tribunali, incaricati della gestione del problema, decise di sospendere l’oscuramento di Youtube. Gli altri mezzi di informazione Lo scorso 29 marzo si sono svolte le elezioni amministrative turche. Buona parte della regione Curda è stata chiamata al voto in un clima di brogli e, in alcuni casi, di violenza, una condizione che, in tutte le sue declinazioni, mostra quale sia la reale condizione della popolazione nel Kurdistan turco. Se il governo sta operando delle censure all'interno del web, è noto che la situazione della libertà di stampa nelle televisioni, sui giornali, e in radio, non è sicuramente più rosea. Nonostante le ultime mosse “propagandistiche” del premier Erdogan, che hanno visto l'apertura di radio e televisioni in lingua curda, è tristemente nota la “double track” seguita dall'AKP (il partito al governo). Difatti se da un lato il governo ha aperto la RT6, una televisione in lingua curda estremamente irregimentata e tenuta sotto lo stretto controllo del governo, durante le elezioni sono state temporaneamente oscurate Gun tv e Roj tv ( la televisione pubblicamente schierata a favore del PKK). La politica turca segue da mesi una via dai due volti, in cui, se da una parte viene aperta una nuova radio in lingua curda, dall'altra vengono arrestati tutti quei rappresentanti politici, come Demirbas, che utilizzano la lingua curda nei contesti istituzionali (un atto considerato tutt'ora perseguibile per legge). In Italia la notizia dell'apertura del procedimento contro facebook è stata trasmessa solo da Panorama. Il silenzio delle testate italiane, che dovrebbero prestare una maggiore attenzione alle dinamiche relative alla libertà di informazione, non è solo un campanello d’allarme, ma è anche un importante monito per un paese in cui la libertà di espressione all’interno dei blog, e degli spazi di condivisione delle informazioni sul web, viene messa seriamente in discussione e ne viene rallentato lo sviluppo. Claudio Accheri

2 aprile 2009

Iranian blogger sentenced to death

Omid Reza Mir Sayafi, sentenced to two years and a half of jail because of ‘outrage’ against the Ayatollah Khamenei, died on 19th March 2009 in Evin prison. Sayafi’s lawyer, Mohammad Ali Dadkhah, has affirmed that, although the official report is not yet available, it might well be a case of suicide. Mir Sayafi suffered from a serious form of depression provoked by his detention. Dadkhah has made an official request for “an inquiry and an autopsy to shed light on the reasons for the death”, claiming that another prisoner, Dr. Hessam Firouzi “had warned the prison officers about the worrying health conditions of the prisoner”. “Dr. Firouzi called me from the prison to inform me that Omid had cardiac problems and that, once brought to the infirmary, doctors had not taken the situation seriously”. Sayafi had already been arrested in April 2008 and, on that occasion, had been released on bail after 41 days. Another Iranian blogger, Mojtaba Saminejad, spoke to Sayafi two days before his death: he was indeed waiting for a permit to leave the prison in order to undergo medical checks. During recent years Iran has launched a clampdown against bloggers and Web users considered hostile to authorities. Reporters without boundaries has declared to have been “profoundly shocked” by Sayafi’s death and has asked for an official inquiry. “We consider the Iranian authorities responsible for Sayafi’s death, in that he had been unjustly arrested and he had not even been granted proper medical care”. The majority of the articles published on Mir Sayafi’s blog concerned traditional Iranian culture and music. The Iranian context In Iran strict information control is in force, a control that can result in censorship and reclusion for all dissidents. Iranian blogs remain sources of independent information. Iran is the country with the highest number of blogs in the world: the number of personal web pages set up by Iranian users is in fact around 700,000. Mir Sayafi’s blog was removed from the web after the sentence was pronounced. It is still possible to find some archive copies of his interventions until 2008, in Farsi language. Mir Sayafi, before being arrested, declared in an interview with Human Rights Activists that his blog only dealt with cultural contents. The news about Sayafi’s death was covered by the media and can be found in a number of blogs and websites. In the Internet&Democracy website it is possible to find an intervention on the closure of an Iranian server of WordPress blogs. Iran Press Watch monitors and denounces the Iranian government’s abuses and information censorship. In addition, Campagna Facebook is promoting an inquiry into the governmental responsibilities of Sayafi’s death.

1 aprile 2009

Blogger iraniano muore in carcere

Il 19 marzo 2009 è morto nel carcere di Evin, Omid Reza Mir Sayafi, blogger iraniano condannato a 2 anni e mezzo di carcere per 'offese' alll'Ayatollah Khamenei. L'avvocato di Sayafi, Mohammad Ali Dadkhah, ha affermato che , nonostante non sia ancora disponibile un rapporto ufficiale, dovrebbe trattarsi di suicidio. Mir Sayafi soffriva di una grave forma di depressione dovuta alla reclusione nel carcere. Dadkhah ha richiesto ufficialmene “una inchiesta e una autopsia per fare luce sulle ragioni della morte”, sostenendo che un altro prigioniero di Evin, il Dr. Hessam Firouzi, “ aveva avvertito i funzionari nel carcere del preoccupante stato di salute del prigioniero”. "Il dottor Firouzi mi aveva chiamato dal carcere per farmi sapere che Omid aveva problemi cardiaci e che, una volta portato in infermeria, i medici non avevano preso sul serio la situazione”. Sayafi primo è stato arrestato nel mese di aprile dello scorso anno e rilasciato su cauzione dopo 41 giorni, prima di essere arrestato di nuovo. Un altro blogger iraniano, Mojtaba Saminejad, ha parlato con Mir Sayafi due giorni prima della morte: aspettava il permesso di uscire dal carcere per alcune analisi mediche. Negli ultimi anni l'Iran ha lanciato un giro di vite sui blogger e gli utenti di Internet ritenuti ostili alle autorità. Reporter senza frontiere si è detta"profondamente scioccata" per la morte di Sayafi e ha chiesto l'avvio di un'inchiesta. “Noi riteniamo le autorità iraniane interamente responsabili per la morte di Sayafi, che non solo è stato arrestato ingiustamente, ma non ha visto nemmeno garantite le cure mediche necessarie”. La maggior parte degli articoli presenti sul blog di Mir Sayafi erano relativi alla cultura e alla musica tradizionale iraniana. Il contesto iraniano In Iran vige un forte controllo delle informazioni che arriva fino alla censura e alla reclusione per i dissidenti. I blogs iraniani rimangono fonti di informazioni indipendenti dal governo. L'iran è il paese con il più alto numero di blog nel mondo, si contano circa 700.000 pagine personali di utenti iraniani. Il blog di Mirsayafi è stato rimosso dalla rete dopo la sentenza di condanna. Ancora oggi si trovano delle copie d'archivio dei suoi interventi fino al 2008, in lingua Farsi. Mirsayafi di ha dichiarato che il suo era un blog di contenuti culturali, prima di essere arrestato in un intervista a Human Rights Activists in Iran. Approfondimenti: La notizia sulla morte di Mirsayafi, passata anche sui media, si trova su diversi siti e blogs. Nel sito di Internet & Democracy, intervento sulla chiusura di un server di blogs WordPress iraniani. Iran Press Watch denuncia e monitora gli abusi del governo iraniano e la censura sull'informazione. Campagna Facebook per un inchiesta sulle responsabilità governative nella morte di Mirsayafi.