8 aprile 2009

Turchia: Dopo Youtube è Facebook a finire nel mirino della magistratura turca.

Dopo l'oscuramento che aveva interessato più di 853 siti Internet, tra cui i noti YouTube e dailymotion.com, la magistratura turca punta il dito verso Facebook. A far scattare l'allarme è stata la segnalazione di alcuni studenti che, durante una vacanza a Bodrum, avrebbero rilevato, sul noto social network, la presenza di un gruppo che inneggia al partito dei lavoratori curdo (PKK), e che offenderebbe la figura del padre della patria, Mustafa Kemal Ataturk (un reato perseguibile dal codice penale turco). La messa al bando di siti Internet da parte dell’autorità giudiziaria turca è un fatto sempre più frequente in quanto sono ben otto le violazioni all’articolo 5651 del codice penale che comportano il blocco immediato dei siti. Tali violazioni comprendono la pedopornografia, gli insulti all’immagine di Ataturk, l’incoraggiamento al suicidio ed il gioco d’azzardo. Il gruppo presente sul social network più famoso al mondo conterebbe la bellezza di 600 iscritti e avrebbe base in Italia, dove la comunità curda è molto attiva sul web. Le proteste avanzate da Facebook non hanno impedito alla magistratura di appellarsi all’articolo 301 del codice di procedura penale (di cui era stata chiesta la cancellazione in ambito europeo), che ha portato alla momentanea modificazione e alla censura di alcune pagine. Il ritorno al passato La mano pesante della magistratura turca nei confronti del mondo virtuale è una questione risaputa. Nel Maggio scorso era stato operato un blocco dei collegamenti a YouTube.com, reo di ospitare videoclip offensivi verso l’immagine di Ataturk. Il blocco in questione era il terzo, in ordine di tempo, e aveva portato alle proteste dei blogger di tutta l'Anatolia. Il primo ad utilizzare l’autocensura come forma di protesta fu il blogger Firat Yildiz, che mise in rete il messaggio “L’accesso a questo sito è proibito per espressa volontà del suo proprietario”, un commento che prendeva in giro la dicitura imposta dal censore, che recita “L’accesso a questo sito è proibito per ordine del tribunale”. In tantissimi seguirono l’esempio di Yildiz e, nel giro di pochi giorni, furono circa 441 i siti web e i blog chiusi al pubblico. In quel caso fu proprio grazie alla campagna di protesta che uno dei tribunali, incaricati della gestione del problema, decise di sospendere l’oscuramento di Youtube. Gli altri mezzi di informazione Lo scorso 29 marzo si sono svolte le elezioni amministrative turche. Buona parte della regione Curda è stata chiamata al voto in un clima di brogli e, in alcuni casi, di violenza, una condizione che, in tutte le sue declinazioni, mostra quale sia la reale condizione della popolazione nel Kurdistan turco. Se il governo sta operando delle censure all'interno del web, è noto che la situazione della libertà di stampa nelle televisioni, sui giornali, e in radio, non è sicuramente più rosea. Nonostante le ultime mosse “propagandistiche” del premier Erdogan, che hanno visto l'apertura di radio e televisioni in lingua curda, è tristemente nota la “double track” seguita dall'AKP (il partito al governo). Difatti se da un lato il governo ha aperto la RT6, una televisione in lingua curda estremamente irregimentata e tenuta sotto lo stretto controllo del governo, durante le elezioni sono state temporaneamente oscurate Gun tv e Roj tv ( la televisione pubblicamente schierata a favore del PKK). La politica turca segue da mesi una via dai due volti, in cui, se da una parte viene aperta una nuova radio in lingua curda, dall'altra vengono arrestati tutti quei rappresentanti politici, come Demirbas, che utilizzano la lingua curda nei contesti istituzionali (un atto considerato tutt'ora perseguibile per legge). In Italia la notizia dell'apertura del procedimento contro facebook è stata trasmessa solo da Panorama. Il silenzio delle testate italiane, che dovrebbero prestare una maggiore attenzione alle dinamiche relative alla libertà di informazione, non è solo un campanello d’allarme, ma è anche un importante monito per un paese in cui la libertà di espressione all’interno dei blog, e degli spazi di condivisione delle informazioni sul web, viene messa seriamente in discussione e ne viene rallentato lo sviluppo. Claudio Accheri

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