11 settembre 2009

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9 settembre 2009

Incontro con Mariella Venditti: crisi, soluzioni e speranze del giornalismo

Intervista Mariella Venditti

Mariella Venditti, la giornalista del tg3, ci parla della crisi del giornalismo.

I problemi nella formazione alla professione, il rapporto con le fonti e l'autocensura. La soluzione, forse, sono vecchi valori e nuovi media. E si chiude con una nota di speranza...nei giovani d'oggi!

Guarda il contributo integrale.

di Laura Viviani, Lorenzo Boscato, Elio Carlos Mendoza Garofani

Perché il giornalismo sta attraversando un periodo così difficile? Come mai la qualità professionale non viene riconosciuta? In che modo noi aspiranti “nuovi professionisti dell’informazione” possiamo cambiare le cose? Sono domande che sempre più spesso ci balenano in testa quando siamo a lezione, leggiamo un giornale, guardiamo “Porta a porta” e soprattutto quando confrontiamo il livello di libertà e di qualità informativa dei nostri “vicini” europei.

Sì, è vero, il crollo delle borse mondiali è stato dirompente e il relativo risalto mediatico è riuscito ad innescare un meccanismo di ansia e preoccupazione senza eguali. Ma in Italia il giornalismo non se la passa bene già da diversi anni. Le ragioni sono tante, forse troppe per elencarle, ma comunque non riconducibili solo alla crisi economica.

Mariella Venditti, al tg3 dal 1993, è una giornalista tosta, diventata famosa negli ultimi anni per le sue querelle con Silvio Berlusconi, al quale non risparmia quelle domandine scomode che gli fanno perdere le staffe. Schietta e alla mano si presta volentieri a fare quattro chiacchiere con noi.

Anche il giornalismo è caduto nella trappola dei soldi facili e dell’apparire a tutti costi, trasformando i suoi professionisti in personaggi da copertina, in starlet che mettono in primo piano la loro faccia e la loro opinione a discapito della vera protagonista: la notizia. Ed è così che l’essenza del giornalismo viene meno. Sparisce l’inchiesta, il metodo d’investigazione per eccellenza per scovare le notizie. Troppo dispendiosa, troppo lunga e persino troppo pericolosa. A portata di “click” si possono avere le più prestigiose agenzie di stampa che vendono i pezzi già impacchettati, perché non sfruttarle? Niente di male, a meno che non il giornalismo non diventi solo riportare le notizie delle agenzie. O altrimenti è chiaro che non ha futuro.

La situazione italiana è del tutto peculiare e più grave, perché l’impoverimento non è solo economico ma culturale. È la mancanza di valori che danneggia il giornalismo. Basta una parola, autocensura, per illuminare il degrado etico e processionale in cui versa il nostro sistema mediatico. Il legame endemico che lega il giornalismo italiano a qualsiasi forma di potere (economico, politico, religioso etc.) ha spinto i cronisti a limitare preventivamente il proprio lavoro, per paura, per vigliaccheria e per comodità. E' l' appiattimento del pensiero critico che rispecchia il nostro paese oggi. L’Italia deve riscoprire il valore all’onestà, dell’impegno e dell'etica. Solo così si può sperare in una ripresa.

Un consiglio per noi studenti? Fare pratica. Secondo la Venditti lo studio non è la via d’accesso per diventare un giornalista. L’esperienza sul campo è infatti il percorso da intraprendere. Andare in giro, ascoltare gli umori della gente, chiedere di persona ai diretti interessati. È questa la dimensione del giornalismo che si è persa e che dovremo essere in grado di recuperare, e di integrare con i nuovi sistemi informativi.

13 giugno 2009

Nuova legge sulle intercettazioni (parte II : limitazioni alla stampa)

Il giudice che rilascia “pubblicamente dichiarazioni” sul procedimento o su elementi dell’indagine ha l'obbligo di astenersi dal giudizio..

In caso di infrazione si provvederà con ammende da 500 a 1.032 euro per i pubblici ufficiali che ometteranno di esercitare “il controllo necessario a impedire la indebita cognizione o pubblicazione delle intercettazioni”..

In caso di procedimento contro ignoti, le intercettazioni potranno essere richieste solo dalla parte offesa e solo sulle sue utenze. Secondo la nuova legge ci sarà lo stop alla pubblicazione di nomi o immagini di magistrati “relativamente ai procedimenti penali a loro affidati”, salvo che l'immagine non sia indispensabile al diritto di cronaca..

Cambia anche la norma sulle rettifiche, che dovranno essere pubblicate nella loro interezza, ma “senza commento”..

Il controllo sui blog e su internet .

La nuova legge disciplinerà anche le informazioni instradate su internet: le dichiarazioni o le rettifiche devono essere pubblicate entro 48 ore dalla richiesta, con le stesse caratteristiche grafiche, la stessa metodologia di accesso al sito e la stessa visibilità della notizia cui si riferiscono pena la chiusura e il pagamento di multe che ammonterebbero a, circa, 25 milioni delle vecchie lire..

Carcere per i cronisti.

Per le intercettazioni, anche quelle non più coperte da segreto, resta il divieto di pubblicazione anche parziale fino alla conclusione delle indagini preliminari. Chi pubblicherà il contenuto di intercettazioni per le quali è stata ordinata la distruzione sarà punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, la pena minima sarà commutabile in una pena pecuniaria che potrà variare tra i 5mila e i 10mila euro..

La stessa pena sarà applicata anche per chi pubblica riassunti o atti e contenuti relativi a conversazioni o flussi di comunicazione riguardanti fatti, circostanze o persone estranee alle indagini di cui sia stata disposta l'espunzione. .

Gli editori dei giornali che violeranno il divieto di pubblicazione saranno puniti con multe fino a 465mila euro. .

Sarà vietato pubblicare le richieste e le ordinanze emesse in materia di misure cautelari fino a quando l'indagato, o il suo difensore, non ne siano venuti a conoscenza (poi se ne potrà pubblicare il contenuto), a queste faranno eccezione le intercettazioni riportate nelle ordinanze, per le quali permarrà il divieto di pubblicazione.

Nuova legge sulle intercettazioni (parte I : limitazioni alla magistratura)

Queste le nuove norme che verrebbero introdotte dal d.l. appena approvato alla Camera (e nei prossimi mesi in discussione al senato) dal Berlusconi IV.

Telefonate e verbali saranno custoditi in un archivio presso la Procura.

Le registrazioni saranno fatte con impianti installati nei Centri di intercettazione situati nei distretti di Corte d'Appello, saranno i procuratori ad occuparsi di gestire e controllare questi centri, e avranno 5 giorni per depositare verbali e intercettazioni.

Occorrerà informare il presidente del Consiglio se si indaga sui servizi segreti. Infatti se un Pm volesse intercettare un telefono usato da esponenti dei Servizi dovrà informare entro 5 giorni il premier italiano, che potrà apporre il segreto di Stato. 



Si potranno usare le cimici solo per spiare nei luoghi in cui si è certi che si sta compiendo un'attività criminosa, con l’unica eccezione per i reati di mafia, terrorismo e per quelli più gravi, per i quali basteranno "sufficienti indizi di reato".

Per le altre indagini, potranno essere intercettati tutti i reati con pene oltre i 5 anni, compresi quelli contro Pubblica Amministrazione. Per i crimini finanziari, corruzione, aggiotaggio etc, il Pm potrà chiedere di intercettare solo se ci saranno “evidenti indizi di colpevolezza” e solo se saranno "assolutamente indispensabili" per ottenere elementi probatori utili all’indagine.

Ci sarà un tetto di spesa stabilito dal ministero della Giustizia di concerto con il Csm.

Entro il 31 marzo, quindi, ogni procuratore trasmetterà una relazione sulle spese per le intercettazioni dell'anno precedente. Le intercettazioni non potranno durare più di 60 giorni, divisi in tre tranches, la prima di 30 giorni, le altre due, se necessarie, da 15 giorni ciascuna.

4 giugno 2009

Guerra psicologica e web: i nuovi confini dei conflitti (parte 3)

Gaza 2009 Gli sviluppi e le comunicazioni che hanno accompagnato, e seguito, l’operazione “piombo fuso” israeliana, hanno mostrato come e quanto internet sia diventato una piattaforma fondamentale per combattere la guerra sul piano psicologico-digitale.

Secondo quanto sostengono molti osservatori, attraverso Facebook, YouTube, e le altre applicazioni basate su Web, la comunità on-line ha partecipato attivamente nell’assimilazione delle informazioni, e, per la prima volta in maniera così forte, si è potuto osservare un vero e proprio conflitto maturato sulla rete.

Già diversi mesi fa, il presidente israeliano Shimon Peres aveva elogiato la rete e strumenti come Facebook per combattere l'antisemitismo online, esortando i giovani a combattere a fianco delle truppe con i propri personal computer.

Nei primi giorni dell'operazione «Piombo fuso» nella Striscia, il ministero dell'Immigrazione israeliano annunciò la creazione di «un esercito di blogger» per sostenere le ragioni di Israele nella sua lotta al terrorismo di Hamas.

I candidati: giovani israeliani in grado di parlare ebraico ma anche capaci di comunicare in una seconda lingua, dall'inglese allo spagnolo, dal tedesco al francese all'arabo.

Durante il conflitto gli hacker lavorarono su entrambi i fronti per violare i siti web del nemico, riuscendo, per esempio, ad indirizzare il traffico proveniente dai siti israeliani più visitati del web, verso una pagina infarcita di messaggi anti-sionisti.

Su Facebook, i gruppi che sostenevano i due schieramenti sono stati creati immediatamente, ed in pochissimo tempo hanno visto le adesioni di centinaia di migliaia di membri.

Le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno istituito un proprio sito in streaming video, in cui sono state mostrate delle riprese girate da droni (velivoli senza pilota), che mostravano le operazioni su Gaza.

I palestinesi hanno risposto con il lancio di http://www.palutube.com/ , un sito in cui sono presenti numerose riprese che testimoniano la distruzione di Gaza avvenuta durante l’operazione “Piombo fuso”.

Un collettivo on-line, noto come Aiuta Israele a Vincere, avrebbe incoraggiato gli utenti a scaricare un programma che permettesse di sovraccaricare i siti web palestinesi.

Un'altra organizzazione on-line, chiamata Jewish Internet Defense Force, ha utilizzato vari metodi per rimuovere, o disattivare, i profili e i gruppi di Facebook ritenuti anti-israeliani. Un portavoce del gruppo, che ha chiesto di mantenere l'anonimato a causa dei possibili rischi per la propria sicurezza, ha dichiarato di credere “in un’azione diretta e mirata a sradicare i problemi che abbiamo di fronte on-line, ma anche influenzare le grandi imprese che hanno il potere”.

Il capo delle comunicazioni e della stampa dell’Idf, il maggiore Avital Leibovich, ha dichiarato in un intervista con il Jerusalem Post che"il mondo dei blog e dei nuovi media sono un'altra zona di guerra. Dobbiamo essere in grado di combattere anche lì".

Tuttavia per molti analisti l’impiego di internet nella battaglia (e campagna) di Gaza, potrebbero essere sintomi di una tendenza preoccupante.

"Abbiamo visto l'aumento esponenziale di ciò che può essere tranquillamente identificato come propaganda", spiega Ethan Zuckerman, un ricercatore presso il Berkman Center for Internet and Society (Università di Harvard), il quale ha osservato che “piuttosto che diventare il caffè del mondo, dove interagire su un terreno comune, la rete è divenuta un metodo molto efficace per mobilitare la gente verso la propria causa e cercare di coordinare le loro azioni”.

“Ciò che sta cambiando - ha aggiunto Zuckerman - è che, in un'epoca in cui si ha un conflitto armato tra gli Stati, le persone stanno cercando di capire come possono diventare parte di quel conflitto, utilizzando i propri computer".

Claudio Accheri

Guerra psicologica e web: i nuovi confini dei conflitti (parte 2)

Russia e Georgia

Nel periodo in cui la Russia e la Georgia danzavano sul sottile filo che separa il cessate-il-fuoco dalla guerra, nel cyberspazio infuriava una lotta mediatica senza precedenti nella quale gli Hacker russi attaccavano i siti Web Georgiani.

Scott Borg, direttore della unità US Cyber Conseguenze (un think tank governativo americano), ha dichiarato che circa 20 siti istituzionali, bancari e di comunicazione erano stati messi fuori uso dai pirati informatici.

Gli hackers hanno svolto un ruolo significativo nel conflitto, pregiudicando la capacità della Georgia di rispondere agli attacchi militari russi. La battaglia on-line, che sembrava aver avuto inizio prima del conflitto armato , rappresentava un anteprima di una nuova era di guerre.

Il controllo su internet permise restringere il flusso di informazioni che usciva dal territorio georgiano, rendendo, di fatto, la situazione più nebulosa, senza che ci fosse una effettiva disponibilità di notizie attendibili relative allo sviluppo del conflitto.

6 maggio 2009

La rivoluzione di Facebook: la spinta al senso civico e il villaggio globale

Chi pensava che i social network servissero solo come passatempo si sbagliava di grosso. La rivoluzione di facebook sembra appena iniziata e probabilmente se Mark Zackerberg, ( il fondatore di fb), nel suo atto di creazione più alto, avesse potuto immaginarlo forse non sarebbe arrivato a tanto. Dimenticatevi dello spazio virtuale dove poter incontrare persone che non vedete da tempo. Cancellate dalla vostra mente il territorio cibernetico dove interagire con i contenuti scaricati da altri utenti e “farvi i fatti loro”. Facebook nell’ultimo mese è ufficialmente entrato nei fatti di cronaca di interesse nazionale.
Il social network infatti è stato uno dei “primi soccorsi” della popolazione terremotata abruzzese. Utilizzato fin dai primi istanti tramite copia/incolla di un post riguardante donazioni di sangue ha poi portato alla creazione dei gruppi più variegati. La vera novità introdotta da “faccialibro” è stata proprio la forte collaborazione dei gruppi: vanno da un minimo di 1000 a un massimo di 400mila contatti e hanno fornito informazioni sulle donazioni e aiuti d’ogni genere. “Doniamo il montepremi del superenalotto ai terremotati” fin dal nome presenta come unico scopo quello di annullare il montepremi del famoso gioco, di quasi 40 milioni di euro, ed utilizzarlo per la ricostruzione. La realizzazione di tutto questo è stata possibile con la creazione di un evento (tramite il social network) dal titolo “come fare le donazioni!!Info utili!!”: dal mercoledì 8 a quello successivo era possibile inviare bonifici bancari oppure inviare un euro tramite gli sms con l’ausilio delle 4 compagnie telefoniche mobili o due tramite rete fissa. Un utente ha così deciso di linkare sulla bacheca dell’evento la pagina donazioni della croce rossa italiana.
Insomma una sorta di puzzle che si va completando un pezzo per volta. Come una sorta di lunga catena nella quale ogni uomo porge la mano all’altro finché non è più possibile capire dove sia iniziata e soprattutto dove possa arrivare. Inserendo la chiave di ricerca “terremoto Abruzzo” ecco apparire più di 500 gruppi. Un territorio inesplorato nel quale trovano spazio le critiche al giornalismo, colpevole di un’ informazione non sempre corretta, la possibilità di stabilire contatti tra paesi stranieri - come il Venezuela – con un’alta percentuale di italiani e le vittime, piccoli contributi musicali come “una canzone per non dimenticare”, la voglia di trasparenza degli utenti rispetto ai contributi donati, critiche al Papa ed elogi a Giuliani, lo studioso che avrebbe previsto il clisma. Ma soprattutto trovano spazio gruppi come “Tutti gli italiani del mondo, sosteniamo l’Abruzzo in questo duro momento!”: con più di 480.000 membri e 3 obiettivi principali: oltre al già citato utilizzo del montepremi del superenalotto, un giorno unico in cui votare per i referendum (in modo da risparmiare) e una domenica sportiva a stadi unificati dove tutte le squadre di calcio (serie A, B, C) doneranno all’Abruzzo un euro per ogni biglietto.
Sono i numeri a colpire nell’analisi del fenomeno. Numeri che non sono barzellette. Numeri che contano e che restano. Per quanto sia difficile la comprensione di un avvenimento del genere, i fatti mostrano che la solidarietà riesce a diffondersi anche tramite un mezzo freddo come la rete. Non è una novità infatti che i media freddi richiedano una forte partecipazione da parte dell’utente (ci si riferisce al concetto di temperatura dei media teorizzata da Mc Luhan: i media “caldi” non esigerebbero grande partecipazione dall’utenza al contrario dei media "freddi"). Effettivamente Mc Luhan con l’accezione “villaggio globale” indicava qualcosa di molto meno astratto di quanto si pensi. L’idea che le nuove tecnologie permettano un’accelerazione delle comunicazioni umane, che il pianeta terra si possa ridurre ad un piccolo villaggio ovvero che l’intero globo abbia abbattuto i confini, tra un villaggio e un altro, per creare un’unica comunità non sembra tanto lontana dalla realtà. Daniela Abbrunzo

27 aprile 2009

Guerra psicologica e web: i nuovi confini dei conflitti (parte 1)

Trasmissioni radiofoniche, altoparlanti e volantini. Dopo radio Londra, dopo l’avvento della comunicazione di massa, e infine con l’arrivo di internet, la guerra psicologica si diffonde attraverso il nuovo medium a ritmi inarrestabili.

Nei conflitti contemporanei è sempre più importante lo sviluppo di un piano di comunicazione articolato su vari livelli, studiato per essere più penetrante rispetto alle elementari notizie messe in circolazione dai telegiornali o dalla stampa.

Dai primi esempi in Kosovo all’ultima operazione israeliana sulla Striscia di Gaza la comunicazione e lo scambio di informazioni sul web è diventato un elemento sempre più fondamentale nel combattimento delle guerre psicologiche, diventando una matrice su cui costruire la propria base di consenso.

Israele e Libano

Lo scontro tra Israele e il Libano del 2006, il cui obiettivo era l’annientamento del partito di Dio Hezbollah, riportava le caratteristiche di una guerra nuova, combattuta sia piano psicologico, sia quello fisico.

Israele, infatti, conscio del potere della comunicazione, ricorreva a tutte le tecnologie più moderne per supportare il proprio sforzo bellico in Libano.

Lo Stato ebraico conduceva, oltre a operazioni militari tradizionali, anche operazioni psicologiche classiche (trasmissioni radiofoniche, annunci locali mirati diffusi attraverso altoparlanti e lanci di volantini). Tuttavia l’elemento più innovativo era costituito dalla comunicazione su internet.

Le autorità militari israeliane avevano creato, per esempio, un apposito sito internet che invitava i cittadini libanesi a collaborare per le forze armate israeliane e a fornire informazioni di cui veniva garantita la forma anonima della fonte.

Nel sito web rivolto ai libanesi, e leggibile in arabo, inglese e francese, venivano inseriti messaggi che invitavano alla collaborazione per sconfiggere i terroristi (“that could help Israel in the fight against Hezbollah”, “Ciò potrebbe aiutare Israele nella lotta contro Hezbollah”) e ridare indipendenza, libertà e prosperità al Libano.

Particolarmente esplicito fu il contenuto delle ultime parole: “For your own safety, please contact us from places where no one knows you”, “Per la tua stessa sicurezza, per favore contattaci da luoghi dove nessuno ti conosce”.

Non mancavano i messaggi registrati, diffusi sui telefonini portatili o via sms.

Secondo al-Arabiya, la stazione televisiva che trasmetteva da Dubai, nei messaggi che venivano inviati al telefonino si leggeva che il governo israeliano considerava il governo libanese responsabile della cattura di due soldati

La rete era già diventata un campo di battaglia come gli altri. Un luogo in cui anche gruppi più piccoli, come Hebollah, potevano vantare un degna conoscenza della materia, impiegando a propria volta il mondo del web per indottrinare i propri sostenitori, reclutare nuovi combattenti e rispondere alla guerra psicologica.

"L'informazione italiana fa schifo", parola di Wolfgang Achtner

http://www.mariorossi.net/user/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=6149

"L'informazione italiana fa schifo". Parola di Wolfgang Achtner, reporter televisivo americano ed ex inviato in Italia della più prestigiosa emittente all-news al mondo, la CNN. Parole forti e lucide considerazioni di un professionista sulla pessima qualità del giornalismo televisivo italiano, che solo la rete ci permette di scovare. La televisione è la maggiore (e a volte l'unica) fonte di informazione degli italiani. Ma che succede se i nostri telegiornali non hanno il benchè minimo rispetto dei principi etici del giornalismo ed anzi sono indissolubilmente legati al potere politico e economico?

Laura Viviani

16 aprile 2009

La gaffe di Berlusconi censurata in Italia

C’è una frase di Berlusconi che è rimbalzata da una homepage all’altra di tutti i maggiori siti web di informazione stranieri. Dal "Times" alla "CNN", da “Le Figaro” e a “El Mundo”.

La polemica nasce dall’intervista che Berlusconi ha rilasciato l’8 aprile scorso alla televisione tedesca RTL in cui esponendo la situazione delle vittime del terremoto, ha affermato che questo periodo di stazionamento temporaneo nelle tendopoli deve essere vissuto come “un camping da fine settimana”.

In Italia la notizia è passata poco più che inosservata in quanto, come spiega nel video il giornalista Udo Gumpel, le due maggiori tv nazionali non hanno voluto l’intervista. Neanche i principali quotidiani on line (www.republicca.it e www.corriere.it) hanno riportato la vicenda. Solo “IlSole24Ore” dedica un articolo all’ampia eco che la dichiarazione ha avuto all’estero, e “Il Manifesto” gli dedica una breve.

Di tutt’altra reazione è stata invece la stampa straniera, che ha subito attaccato più o meno duramente le parole del premier, giudicandole fuori luogo e irrispettose nei confronti degli sfollati. Tra i più critici, il quotidiano tedesco “Bild” ha titolato: "Berlusconi deride le vittime del terremoto”; tv pubblica Zdf aveva scritto sul suo sito: “Berlusconi schernisce le vittime del terremoto”.

The Times” ha dato ampio rilievo alla notizia, pubblicando un editoriale in cui parla della “grossolanità” di Berlusconi, e di come “la sua carriera politica è una cronistoria di commenti insensibili. […] Definire insensibile il suo consiglio rischia di accordargli lo status di verità. Invece è un esempio della buffoneria ricorrente”. Commenti del genere – continua - non solo “avviliscono metà della popolazione, ma imbarazzano i compatrioti di Berlusconi e rimpiccioliscono la sua carica”.

Sempre il “Times” sottolinea come la notizia non sia stata ripresa dai media italiani, neanche da un giornale di sinistra come “L’Unità” che ha solo riportato la notizia nella sezione esteri. Il quotidiano italiano ha poi aggiunto che Palazzo Chigi ha fatto uscire una nota in cui “redarguiva The Times per non aver detto che le parole di Berlusconi agli sfollati sono state accolte con “applausi e gratitudine”.

Non pochi siti hanno poi colto l’occasione di riproporre la carrellata di gaffes più note del premier. Tra queste, le ultime figuracce fatte al G20, che gli hanno valso il soprannome di “the joker in the pack” (il giullare di gruppo) da parte dei giornali inglesi.

Laura Viviani

8 aprile 2009

Turchia: Dopo Youtube è Facebook a finire nel mirino della magistratura turca.

Dopo l'oscuramento che aveva interessato più di 853 siti Internet, tra cui i noti YouTube e dailymotion.com, la magistratura turca punta il dito verso Facebook. A far scattare l'allarme è stata la segnalazione di alcuni studenti che, durante una vacanza a Bodrum, avrebbero rilevato, sul noto social network, la presenza di un gruppo che inneggia al partito dei lavoratori curdo (PKK), e che offenderebbe la figura del padre della patria, Mustafa Kemal Ataturk (un reato perseguibile dal codice penale turco). La messa al bando di siti Internet da parte dell’autorità giudiziaria turca è un fatto sempre più frequente in quanto sono ben otto le violazioni all’articolo 5651 del codice penale che comportano il blocco immediato dei siti. Tali violazioni comprendono la pedopornografia, gli insulti all’immagine di Ataturk, l’incoraggiamento al suicidio ed il gioco d’azzardo. Il gruppo presente sul social network più famoso al mondo conterebbe la bellezza di 600 iscritti e avrebbe base in Italia, dove la comunità curda è molto attiva sul web. Le proteste avanzate da Facebook non hanno impedito alla magistratura di appellarsi all’articolo 301 del codice di procedura penale (di cui era stata chiesta la cancellazione in ambito europeo), che ha portato alla momentanea modificazione e alla censura di alcune pagine. Il ritorno al passato La mano pesante della magistratura turca nei confronti del mondo virtuale è una questione risaputa. Nel Maggio scorso era stato operato un blocco dei collegamenti a YouTube.com, reo di ospitare videoclip offensivi verso l’immagine di Ataturk. Il blocco in questione era il terzo, in ordine di tempo, e aveva portato alle proteste dei blogger di tutta l'Anatolia. Il primo ad utilizzare l’autocensura come forma di protesta fu il blogger Firat Yildiz, che mise in rete il messaggio “L’accesso a questo sito è proibito per espressa volontà del suo proprietario”, un commento che prendeva in giro la dicitura imposta dal censore, che recita “L’accesso a questo sito è proibito per ordine del tribunale”. In tantissimi seguirono l’esempio di Yildiz e, nel giro di pochi giorni, furono circa 441 i siti web e i blog chiusi al pubblico. In quel caso fu proprio grazie alla campagna di protesta che uno dei tribunali, incaricati della gestione del problema, decise di sospendere l’oscuramento di Youtube. Gli altri mezzi di informazione Lo scorso 29 marzo si sono svolte le elezioni amministrative turche. Buona parte della regione Curda è stata chiamata al voto in un clima di brogli e, in alcuni casi, di violenza, una condizione che, in tutte le sue declinazioni, mostra quale sia la reale condizione della popolazione nel Kurdistan turco. Se il governo sta operando delle censure all'interno del web, è noto che la situazione della libertà di stampa nelle televisioni, sui giornali, e in radio, non è sicuramente più rosea. Nonostante le ultime mosse “propagandistiche” del premier Erdogan, che hanno visto l'apertura di radio e televisioni in lingua curda, è tristemente nota la “double track” seguita dall'AKP (il partito al governo). Difatti se da un lato il governo ha aperto la RT6, una televisione in lingua curda estremamente irregimentata e tenuta sotto lo stretto controllo del governo, durante le elezioni sono state temporaneamente oscurate Gun tv e Roj tv ( la televisione pubblicamente schierata a favore del PKK). La politica turca segue da mesi una via dai due volti, in cui, se da una parte viene aperta una nuova radio in lingua curda, dall'altra vengono arrestati tutti quei rappresentanti politici, come Demirbas, che utilizzano la lingua curda nei contesti istituzionali (un atto considerato tutt'ora perseguibile per legge). In Italia la notizia dell'apertura del procedimento contro facebook è stata trasmessa solo da Panorama. Il silenzio delle testate italiane, che dovrebbero prestare una maggiore attenzione alle dinamiche relative alla libertà di informazione, non è solo un campanello d’allarme, ma è anche un importante monito per un paese in cui la libertà di espressione all’interno dei blog, e degli spazi di condivisione delle informazioni sul web, viene messa seriamente in discussione e ne viene rallentato lo sviluppo. Claudio Accheri

2 aprile 2009

Iranian blogger sentenced to death

Omid Reza Mir Sayafi, sentenced to two years and a half of jail because of ‘outrage’ against the Ayatollah Khamenei, died on 19th March 2009 in Evin prison. Sayafi’s lawyer, Mohammad Ali Dadkhah, has affirmed that, although the official report is not yet available, it might well be a case of suicide. Mir Sayafi suffered from a serious form of depression provoked by his detention. Dadkhah has made an official request for “an inquiry and an autopsy to shed light on the reasons for the death”, claiming that another prisoner, Dr. Hessam Firouzi “had warned the prison officers about the worrying health conditions of the prisoner”. “Dr. Firouzi called me from the prison to inform me that Omid had cardiac problems and that, once brought to the infirmary, doctors had not taken the situation seriously”. Sayafi had already been arrested in April 2008 and, on that occasion, had been released on bail after 41 days. Another Iranian blogger, Mojtaba Saminejad, spoke to Sayafi two days before his death: he was indeed waiting for a permit to leave the prison in order to undergo medical checks. During recent years Iran has launched a clampdown against bloggers and Web users considered hostile to authorities. Reporters without boundaries has declared to have been “profoundly shocked” by Sayafi’s death and has asked for an official inquiry. “We consider the Iranian authorities responsible for Sayafi’s death, in that he had been unjustly arrested and he had not even been granted proper medical care”. The majority of the articles published on Mir Sayafi’s blog concerned traditional Iranian culture and music. The Iranian context In Iran strict information control is in force, a control that can result in censorship and reclusion for all dissidents. Iranian blogs remain sources of independent information. Iran is the country with the highest number of blogs in the world: the number of personal web pages set up by Iranian users is in fact around 700,000. Mir Sayafi’s blog was removed from the web after the sentence was pronounced. It is still possible to find some archive copies of his interventions until 2008, in Farsi language. Mir Sayafi, before being arrested, declared in an interview with Human Rights Activists that his blog only dealt with cultural contents. The news about Sayafi’s death was covered by the media and can be found in a number of blogs and websites. In the Internet&Democracy website it is possible to find an intervention on the closure of an Iranian server of WordPress blogs. Iran Press Watch monitors and denounces the Iranian government’s abuses and information censorship. In addition, Campagna Facebook is promoting an inquiry into the governmental responsibilities of Sayafi’s death.

1 aprile 2009

Blogger iraniano muore in carcere

Il 19 marzo 2009 è morto nel carcere di Evin, Omid Reza Mir Sayafi, blogger iraniano condannato a 2 anni e mezzo di carcere per 'offese' alll'Ayatollah Khamenei. L'avvocato di Sayafi, Mohammad Ali Dadkhah, ha affermato che , nonostante non sia ancora disponibile un rapporto ufficiale, dovrebbe trattarsi di suicidio. Mir Sayafi soffriva di una grave forma di depressione dovuta alla reclusione nel carcere. Dadkhah ha richiesto ufficialmene “una inchiesta e una autopsia per fare luce sulle ragioni della morte”, sostenendo che un altro prigioniero di Evin, il Dr. Hessam Firouzi, “ aveva avvertito i funzionari nel carcere del preoccupante stato di salute del prigioniero”. "Il dottor Firouzi mi aveva chiamato dal carcere per farmi sapere che Omid aveva problemi cardiaci e che, una volta portato in infermeria, i medici non avevano preso sul serio la situazione”. Sayafi primo è stato arrestato nel mese di aprile dello scorso anno e rilasciato su cauzione dopo 41 giorni, prima di essere arrestato di nuovo. Un altro blogger iraniano, Mojtaba Saminejad, ha parlato con Mir Sayafi due giorni prima della morte: aspettava il permesso di uscire dal carcere per alcune analisi mediche. Negli ultimi anni l'Iran ha lanciato un giro di vite sui blogger e gli utenti di Internet ritenuti ostili alle autorità. Reporter senza frontiere si è detta"profondamente scioccata" per la morte di Sayafi e ha chiesto l'avvio di un'inchiesta. “Noi riteniamo le autorità iraniane interamente responsabili per la morte di Sayafi, che non solo è stato arrestato ingiustamente, ma non ha visto nemmeno garantite le cure mediche necessarie”. La maggior parte degli articoli presenti sul blog di Mir Sayafi erano relativi alla cultura e alla musica tradizionale iraniana. Il contesto iraniano In Iran vige un forte controllo delle informazioni che arriva fino alla censura e alla reclusione per i dissidenti. I blogs iraniani rimangono fonti di informazioni indipendenti dal governo. L'iran è il paese con il più alto numero di blog nel mondo, si contano circa 700.000 pagine personali di utenti iraniani. Il blog di Mirsayafi è stato rimosso dalla rete dopo la sentenza di condanna. Ancora oggi si trovano delle copie d'archivio dei suoi interventi fino al 2008, in lingua Farsi. Mirsayafi di ha dichiarato che il suo era un blog di contenuti culturali, prima di essere arrestato in un intervista a Human Rights Activists in Iran. Approfondimenti: La notizia sulla morte di Mirsayafi, passata anche sui media, si trova su diversi siti e blogs. Nel sito di Internet & Democracy, intervento sulla chiusura di un server di blogs WordPress iraniani. Iran Press Watch denuncia e monitora gli abusi del governo iraniano e la censura sull'informazione. Campagna Facebook per un inchiesta sulle responsabilità governative nella morte di Mirsayafi.

31 marzo 2009

Ascoltare il rumore della rete

La rete è intesa oggi da più voci come il grande esempio del flusso di realtà.

Se i media tradizionali sono limitati da spazio espositivo e tempi di redazione, la rete consente di conoscere in tempo reale fatti di tutto il mondo. Gli aggiornamenti in real time hanno permesso in molte occasioni di superare le fonti ufficiali. Attraverso contributi nei blog personali, individui di tutto il mondo, testimoni degli eventi, raccontano i fatti mostrando i retroscena.

Ascoltare la rete significa dunque osservare il mondo da vicino.

The Watcher Blog si propone di seguire le diverse fonti, segnalare le isole interessanti, uscire dalla rete dei media tradizionali inseguendo il bisogno di completezza. Seguiremo i fatti del mondo e la loro informazione ascoltando la rete.